Qui la zampa

Green Hill, la Cassazione conferma la condanna. Giustizia per i 6.023 Beagle morti

La Corte di Cassazione ha confermato il verdetto dell’Appello per i responsabili di Green Hill: i cani malati venivano soppressi e non curati

Condannata confermata per i vertici di Green Hill. La Corte di Cassazione ha ribadito la sentenza emessa in appello a Brescia il 23 febbraio 2016 in merito all’allevamento di cani Beagle, chiuso a Montichiari nell’estate del 2012, in seguito al blitz degli animalisti che avevano liberato molti cuccioli. Dopo il sequestro, i 4 zampe erano stati adottati da altrettante famiglie affidatarie, anche attraverso Legambiente e Lav (Lega anti vivisezione).

Le condanne

Un anno e sei mesi quindi, per Ghislane Rondot, co-gestore della struttura e per il veterinario Renzo Graziosi, e un anno per il direttore dell’allevamento Roberto Bravi. Secondo le accuse nell’allevamento si praticava “l’eutanasia in modo disinvolto, preferendo sopprimere i cani piuttosto che curarli, andando in senso diametralmente opposto alle norme comunitarie e nazionali“.

Nell’allevamento morti 6.023 Beagle

“È stata una battaglia culturale prima che processuale dall’esito per nulla scontato – ha commentato dopo il verdetto il sostituto procuratore Ambrogio Cassiani che nel 2012 aveva disposto il sequestro della struttura e poi portato processo i vertici dell’allevamento di cani Beagle – Il processo non ha solo accertato condotte penalmente rilevanti, ma è stata l’affermazione di principi di civiltà”. Nell’allevamento, composto da 5 capannoni e nel quale erano presenti circa 2.500 cani, tra il 2008 e il 2012 avrebbe fatto segnare il decesso di 6.023 Beagle. Le motivazioni della condanna in appello, del 23 febbraio 2016, sostenevano che i cani, anche quelli ammalati, venivano abbandonati a loro stessi durante la notte. La politica aziendale prevedeva di non curare gli animali per cui non ne valeva la pena farlo. I cani affetti da rogna, ad esempio, non venivano trattati con medicine perché non era economico curare chi sarebbe poi non avrebbe potuto essere venduti. Inoltre, si verificavano anche numerosissimi casi di decesso per ingestione di segatura, soprattutto tra i cuccioli.

Ancora due i filoni d’inchiesta in corso

Ma questo era solo il troncone principale dell’inchiesta. Il prossimo 22 novembre si tornerà in aula per un secondo filone. È attesa infatti la sentenza nei confronti di due veterinari dell’Ats e tre ex dipendenti dell’allevamento, per i quali la richiesta di condanna è di due anni per i due medici, accusati a vario titolo di concorso in maltrattamento e uccisione di animali, falsa testimonianza, omessa denuncia e falso ideologico. Chiesta dal pm invece la condanna a 10 mesi per i tre dipendenti, per falsa testimonianza. Da definire ancora la data dell’appello per 12 animalisti che liberarono i cuccioli, condannati in primo grado per furto, rapina, lesione e resistenza a pubblico ufficiale.

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Redazione

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