
Fermiamo l'Iditarod: la corsa di cani da slitta che causa sofferenze e morti ogni anno
L’Iditarod, la storica corsa di cani da slitta che si svolge annualmente in Alaska, è tornata alla ribalta per motivi ben poco celebrativi. Negli ultimi anni, la manifestazione ha visto un crescente numero di morti e sofferenze tra gli animali coinvolti, portando numerosi gruppi per i diritti degli animali, come PETA e Humane Mushing, a chiedere con forza la sua abolizione. L’edizione del 2024 ha visto la tragica scomparsa di tre cani, un evento che ha riacceso le polemiche e il dibattito sull’etica e la sicurezza della corsa.
La storia dell’Iditarod e del mushing
L’Iditarod non è solo una competizione sportiva, ma un evento che affonda le radici nella storia e nella cultura dell’Alaska. La pratica del mushing, che consiste nel far trainare slitte da cani, risale ai popoli nativi che utilizzavano queste slitte per il trasporto di beni e per la migrazione stagionale. Con l’avvento dei coloni russi e dei cercatori d’oro, i cani da slitta divennero strumenti essenziali per affrontare le dure condizioni climatiche e i terreni inospitali dell’Alaska.
Uno dei momenti più iconici della storia del mushing avvenne nel 1925, quando una squadra di cani guidata dall’husky Balto percorse con coraggio circa 1.000 miglia per consegnare un siero salvavita a Nome, in Alaska, durante un’epidemia di difterite. Questo evento è diventato simbolo di eroismo e forza, ma ha anche gettato le basi per la celebrazione del mushing moderno. Negli anni ’70, con l’introduzione delle motoslitte, il futuro del mushing sembrava incerto. Fu Joe Redington Sr., una figura chiave nella storia della corsa, a promuovere la creazione dell’Iditarod, con l’intento di preservare la tradizione e la razza degli husky dell’Alaska.
Le sofferenze degli animali
Tuttavia, la bellezza di questa tradizione è offuscata da un bilancio inquietante. Secondo PETA, oltre 100 cani sono morti durante le edizioni passate dell’Iditarod, senza contare i numerosi animali che perdono la vita durante l’addestramento o a causa di infortuni subiti durante la gara. Le statistiche parlano chiaro:
- L’80% dei cani da slitta sviluppa gravi danni polmonari.
- Le competizioni di resistenza aumentano il rischio di ulcere gastriche.
- La principale causa di morte tra i cani è la polmonite da aspirazione, spesso causata dall’inalazione del proprio vomito a causa dello sforzo estremo.
Nonostante le preoccupazioni, gli organizzatori dell’Iditarod difendono strenuamente la manifestazione. Sottolineano che sono state adottate misure di sicurezza rigorose, tra cui controlli veterinari approfonditi e la presenza di personale medico lungo il percorso. Alcuni sostenitori della corsa ritengono che le accuse di maltrattamento siano esagerate e che l’Iditarod rappresenti una fondamentale celebrazione della storia e della cultura dell’Alaska.
Il dibattito etico e il futuro dell’Iditarod
Il crescente numero di critiche e la perdita di sponsor importanti, come Alaska Airlines ed ExxonMobil, hanno sollevato interrogativi sul futuro della corsa. Con un panorama sempre più ostile e i diritti degli animali che emergono come una questione di rilevanza pubblica, è innegabile che l’Iditarod si trovi di fronte a una crisi di legittimità.
La domanda che molti si pongono è se sia etico continuare a sottoporre i cani a tali sforzi per una competizione che, pur avendo radici storiche significative, potrebbe essere vista come obsoleta e pericolosa nel contesto attuale di crescente sensibilità verso il benessere animale. Le immagini di cani stremati, malati e, in alcuni casi, morti, sono diventate sempre più comuni nel reportage sull’Iditarod, sollevando dubbi sulla reale necessità di una competizione che rischia di trasformarsi in un evento di sofferenza.
Le preoccupazioni etiche non riguardano solo la salute fisica dei cani, ma anche il loro benessere psicologico. La pressione di competere in condizioni estreme può avere gravi ripercussioni sulla salute mentale degli animali. In un’epoca in cui gli animali sono sempre più considerati membri della famiglia e non semplici strumenti di lavoro, è fondamentale rivedere la nostra relazione con loro e il modo in cui li trattiamo.
Mentre il dibattito sull’Iditarod continua, è chiaro che la questione va oltre il semplice sport. Rappresenta una riflessione più ampia su come la società percepisca e tratti gli animali. Rinnovare il nostro approccio al mushing e considerare alternative più umane potrebbe non solo salvare vite animali, ma anche preservare una tradizione che, sebbene affascinante, deve adattarsi ai tempi e alle nuove consapevolezze etiche.